testo di Giulia Custodi
Nell’ambito della ricerca e della sperimentazione di materiali vegetali per l’architettura, il bambù gode
oggi di una posizione sicuramente privilegiata, dovuta all’interesse
che ha suscitato nel mondo occidentale negli ultimi decenni. Infatti
questa pianta, della famiglia delle graminacee, serviva come materiale da costruzione, fin da tempi antichissimi,
soprattutto nell’area asiatica e in quella latino americana, in cui è
da considerare materiale tipico,
impiegato nelle tecniche tradizionali e praticamente per qualsiasi tipo
di scopo, dal rivestimento degli interni abitativi fino alle parti
strutturali degli edifici. La pianta del bambù in queste aree
geografiche è così diffusa che in alcune culture essa è diventata anche
un simbolo di forza e duttilità, in sintonia con le filosofie orientali: è elastica ma resistente, rappresenta integrità morale e al tempo stesso apertura mentale.
Oltre all’intrinseca bellezza, l’elevata resistenza meccanica, questa pianta cresce ad una rapidità notevole,
arrivando fino al 30% all’anno (rispetto al 2-3% degli alberi); questa
sua caratteristica è forse la principale spinta che ha indotto il mondo
del costruire sostenibile a sperimentarne sempre di più le potenzialità.
Recentemente si sono incentivate le realizzazioni di bambuseti, o coltivazioni di bambù, nell’area europea, Italia compresa,
luoghi in cui questa pianta non è presente in origine. Poiché il bambù è
fortemente adattabile ad una molteplicità di condizioni climatiche, non
è difficile creare queste coltivazioni, per contro il problema è
riuscire a controllare la crescita e l’espansione di questo arbusto
entro i confini definiti, per favorire la coesistenza anche con le
foreste pre-esistenti, in maniera bilanciata e senza danneggiare la
biodiversità della zona nella quale si va a piantare il bambù.
In Europa invece, sempre della famiglia delle graminacee è presente la Arundo Donax, nota come canna comune, che cresce spontanea soprattutto lungo i fiumi e i laghi; ha caratteristiche simili al bambù ma è meno versatile,
poiché impiegabile solo per rivestimenti e strutture leggere. La canna
comune riesce a sopravvivere bene in condizioni di siccità, come in
Puglia, dove lo studio LAN, laboratorio architettura naturale,
fondato dall’architetto Francesco Poli, ne sperimenta da diversi anni le
applicazioni, a metà tra architettura e arte del paesaggio: proprio a
marzo di quest’anno il gruppo ha organizzato un evento di costruzione
partecipata a Barletta, gratuito e rivolto a tutti, nell’ottica di una
serie di iniziative volte a promuovere la conoscenza di questo tipo di
materiali e costruzioni alternative, che recuperano anche in parte una
certa tradizione da tempo perduta con l’imporsi del cemento e
dell’industrializzazione del processo edilizio.
Queste realizzazioni fanno eco alle “architetture viventi”, sperimentate dal gruppo di Stoccarda Sanfte Strukturen di Marcel Kalberer, che da circa 25 anni creano delle strutture in salice che, germogliando dalle proprie talee legnose, con il tempo si trasformano in veri e propri “edifici verdi”. Il salice richiede più acqua della canna comune, il che lo rende meno idoneo a zone secche.
Bambù, canna comune e salice: sono tre
materiali vegetali le cui caratteristiche ecologiche e di resistenza, di
crescita rapida e per lo più spontanea, affascinano gli architetti e li spingono a esplorarne le potenzialità, ne fanno materiali da scoprire, o forse da riscoprire.